Il contenuto di quanto disposto nell’art.21 del decreto legge n.66 del 2014 ed in particolare nel suo 4 comma che sottrae, per di più in corso di esercizio, la somma di 150 milioni di euro alla Rai costituisce un atto gravissimo e senza precedenti nel nostro paese.
Il principio dell’indipendenza economica della RAI servizio pubblico radiotelevisivo costituisce uno dei pilastri della configurazione dei servizi pubblici secondo le regole europee, da ultimo del Trattato di Amsterdam del 1997, e secondo i principi più volte ribaditi dalla nostra Corte costituzionale, a partire dalla famosissima sentenza n.225 del 1974 per arrivare alla sentenza n.284 del 2002, proprio in materia di canone.
L’indipendenza economica precede addirittura quella organizzativa ed anche quella dei contenuti. Inutile ricordare gli energici sollevamenti di scudi dopo gli attacchi di esponenti di Governo alla libertà di espressione. La situazione attuale non è meno grave.
Il canone di abbonamento non rappresenta un versamento dalle casse dello Stato, ma proviene direttamente dagli utenti. Non costituisce quindi una somma della quale lo Stato può liberamente ed unilateralmente disporre.
Tutta la normativa in questa materia è stata impostata ad un principio di rigorosa concertazione, tanto è vero che alla fine degli anni ‘90 quando lo Stato eliminò il canone autoradio si preoccupò di indennizzare per alcuni esercizi il bilancio della Rai per una somma corrispondente a circa 210 miliardi di lire all’anno.
La stessa procedura di “aumento” del canone prevista dall’art.47 del testo unico della radiotelevisione prevede a monte di quell’atto una concertazione o quantomeno un confronto tra il Ministero e la RAI sulle entrate necessarie per coprire i costi di esercizio e comunque deve concludersi prima dell’inizio del nuovo anno finanziario.
In tutta l’esperienza repubblicana ed anche in circostanze economiche molto critiche per il paese non è dato ricordare un intervento di questa natura che per le sue modalità rappresenta un grave attentato all’indipendenza del servizio pubblico.
Altri strumenti d’intervento per lo Stato azionista della RAI sarebbero stati possibili nel rispetto delle regole che valgono per qualsiasi soggetto economico operante in regime di concorrenza in una così delicata materia.
Non ricordo neppure interventi analoghi contro gli interessi economici del gruppo Mediaset.