Il Presidente Napolitano ha promulgato ieri la legge in materia di sicurezza pubblica che, oltre ad introdurre disposizioni in materia di contrasto alla criminalità organizzata, reca norme aberranti quali la previsione del reato di immigrazione clandestina. La promulgazione è stata accompagnata da una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri dell’interno e della giustizia con la quale Napolitano ha manifestato le proprie “perplessità e preoccupazioni” sulle disposizioni introdotte (“eterogenee”, “prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità”, “di dubbia coerenza con i principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente”) in vista delle iniziative che questi riterranno di assumere per l’applicazione della legge. Una scelta che ha attirato sul Presidente Napolitano le critiche di quanti l’hanno accusato di avere così agito al di fuori dei poteri riconosciutigli dalla Costituzione.
Chi si meraviglia di ciò, non conosce bene la Costituzione. Oltre a potere inviare messaggi alle Camere ai sensi degli articoli 74, comma 1, e 87, comma 2, della Costituzione (messaggi formali), il Presidente della Repubblica si vede infatti riconosciuto un potere di esternazione (comunque disciplinato da regole convenzionali e di correttezza) attraverso messaggi informali in virtù dell’imprescindibile funzione di garanzia costituzionale che la Costituzione gli assegna.
La prassi costituzionale ha conosciuto d’altronde esempi di promulgazioni da parte del Presidente della Repubblica accompagnate da lettere indirizzate al Governo in vista dell’attuazione della legge stessa (legge 15 giugno 2002, n. 112); di emanazione di decreti – legge (decreto – legge 25 giugno 2008, n. 112) o di promulgazione di leggi (legge 9 aprile 2009, n. 33) accompagnati da lettere indirizzate ai Presidenti di Camera e Senato ed al Presidente del Consiglio per sottolineare le ricadute delle “cattive” procedure parlamentari sulla qualità del prodotto legislativo.