Le riforme in Parlamento, con il concorso del Governo e con un metodo processuale

La commissione affari costituzionali della Camera sta valutando in questi giorni, in parallelo con il Senato, il percorso più appropriato per riprendere un discorso sulle riforme dopo l'esito del referendum.
Proprio quel risultato impone un percorso diverso dal passato e consiglia un metodo di lavoro, compatibile con l'attuale formulazione dell'art.138 della Costituzione, che affronti capitoli monografici, secondo le priorità stabilite dal Parlamento.
In questa prospettiva molto ampia è la convergenza sull'individuazione del Titolo V come primo terreno di confronto. Il nuovo titolo V introdotto dalla riforma del 2001 e le modifiche che da più parti sono state ritenute necessarie. C'è anzitutto da verificare, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, la coerenza dell'art.117 Cost e la bontà della distribuzione delle competenze tra i vari soggetti istituzionali in esso previsti. C'è da considerare l'attuazione dei principi condivisi (art.11 della legge cost. del 2001) ed in particolare l'attuazione del federalismo fiscale previsto dall'art.119 Cost. A proposito di attuazione è molto importante che dopo cinque anni di sostanziale blocco della riforma del 2001 si dichiari esplicitamente la contemporanea intenzione di modificare il necessario e di attuare il possibile. Il sistema delle autonomie ha diritto di veder realizzati alcuni principi.
Naturalmente non si può non tener conto del fatto che in questa materia spesso un capitolo ne richiama un altro: così la riforma del titolo V chiama in causa la possibile modifica del Senato e la modifica del Senato chiama in causa il tema del Bicameralismo e quello ben più complesso della forma di governo.
E' evidente che un tale metodo non esclude le connessioni tra vari capitoli delle possibili riforme, ma impone di trattare gli argomenti secondo una logica non contestuale, ma processuale, per tappe successive. Parte un vagone e intanto se ne forma un altro. Un riformismo processuale è l'unico oggi possibile, dopo il referendum, e consente di sviluppare le coerenze attraverso un'adeguata guida politica.
In questo percorso il Parlamento ha un ruolo centrale, ma il Governo non è affatto escluso. Senza avere il ruolo preponderante della scorsa legislatura, che del resto è innaturale e rischioso in processi di questo tipo, il Governo gioca un ruolo concorrente e in alcuni momenti essenziale, come ad esempio avviene in materia di federalismo fiscale. In questi casi è chiamato in causa il Governo nella sua collegialità e in primis il Ministro delle riforme, quello dell'economia e quello degli affari regionali.
Un ultimo accenno prima di concludere al tema della riforma elettorale. Non è materia costituzionale, ma come è stato detto più volte è materia che si inserisce a pieno titolo nel percorso delle riforme costituzionali.
L'esigenza di rivedere la legge elettorale è molto forte per reintrodurre un rapporto più forte con il territorio ed un potere di scelta dei candidati da parte degli elettori. Il Parlamento può modificare quando crede la legge elettorale e questo solo fatto non determina una caduta di legittimazione del Parlamento in carica come dimostrano molteplici esempi comparati. Solo una modifica introdotta dal referendum avrebbe un carattere di questo genere. Il Parlamento deve quindi mettere in cantiere questo progetto in tempi ragionevoli e per un ordine logico di connessione con altri temi dopo la modifica del titolo V.
C'è un'ultimissima esigenza che non va assolutamente trascurata ed è quella di fare presto. E' giusto fare da qui alla fine dell'anno, prima della finanziaria, un'indagine conoscitiva, meglio se da parte delle due commissioni, di Camera e Senato, per consultare autonomie, parti sociali ed università e poi partire risolutamente all'esame del primo capitolo di questo possibile itinerario.

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