La premessa costituzionale che tiene insieme i tre profili fondamentali della disciplina dei media è il diritto all’informazione. Da questo diritto discende la nozione di servizio pubblico televisivo (vedi giurisprudenza costituzionale ed in particolare la sent. n.284 del 2002), la necessità di adottare una seria disciplina antitrust nel settore dei media (sent. n.2002 del 1972) e la necessità di avere una disciplina sul conflitto di interessi, in generale ed in particolare tra attività di governo e media.
1) La gestione del servizio pubblico deve essere attribuita al una società il cui sistema di governo sia distante dal sistema dei partiti e fondi la propria legittimazione sui cittadini che pagano il canone (si pongono richiamare a questo proposito le tematiche dei beni comuni e lo spirito dell’art.43 Cost). Per questa parte si rinvia alla relazione che accompagna la proposta di legge Zaccaria ed altri (Atto Camera 4559 XVI legislatura)
2) La disciplina anticoncentrazione nel settore dei media ed in particolare nel settore radiotelevisivo non è mai stata fatta in maniera appropriata. La migliore proposta sul tema è quella presentata nella XV legislatura dal Ministro GentiloniQuesta proposta per essere incisiva e rispondente ai principi costituzionali deve basarsi sui seguenti principi: a) Il parametro o il monte delle risorse sul quale calcolare la percentuale (c.d. limite “ex ante”) non superabile da nessun imprenditore deve essere congruo e ragionevole e non smisurato come quello attuale (SIC). Oggi quel tetto comprende ogni genere di risorsa: è di circa 24 miliardi e quindi nessuno dei principali operatori (Mediaset, Rai e Sky) è in grado di superare il 20 per cento di quasi 5 miliardi)
b) Fissare un limite “ex ante” a tutela del pluralismo che non superi il 20 per cento di quel mercato più contenuto. Fissare in subordine un limite collegato allo share (questa problematica apre confronti con altri sistemi normativi)
c) Attribuire ad ogni singolo operatore soggetto un tetto massimo di frequenze e comunque non determinare uno squilibrio così vistoso, come oggi avviene, tra i diversi operatori.
d) Separare la titolarità delle reti di distribuzione dalla fornitura dei contenuti. Questo è un problema di fondamentale importanza. In molti paesi questa separazione è realizzata e tende a ridurre la strapotenza di alcuni operatori sul mercato.
e) Attribuire all’Autorità il compito di verificare il rispetto delle regole antitrust nei mercati rilevanti e in particolare in quello della pubblicità
f) Rifondare il sistema di misurazione degli ascolti. Oggi questi ascolti, dai quali discendono importanti conseguenze economiche, sono praticamente autogestite da parte degli operatori più forti e quindi contribuiscono ulteriormente a determinare gli squilibri.
3) Il terzo dei grandi problemi che influenzano la fisionomia del diritto all’informazione è il nodo del conflitto di interessi: sia in generale che con specifico riguardo alla questione dei media. Diciamo subito che nel nostro paese la lacuna di una seria disciplina in questo campo è alla base di quella che in tutto il mondo è stata definita come l’anomalia Italiana. La legge Frattini approvata nel 2004 è poco più di una finzione e non ha praticamente trovato applicazione, nonostante che i casi di conflitto siano stati numerosi e più volte denunciati.
Nel delineare i principi ricostruttivi, anche in questo caso mi limito a richiamare alcuni punti essenziali e a rinviare per il resto a quella proposta di legge che ho contribuito a scrivere con Walter Veltroni (Atto Camera n.2668 XVI legislatura)
a) Diciamo subito che il principio cardine alla base del conflitto di interessi si intreccia con i fondamenti stessi del sistema democratico e richiede a chiunque sia investito della amministrazione della cosa pubblica di non essere condizionato nelle sue scelte di pubblico interesse dai propri privati interessi.
b) Dunque l’uomo di governo che ha rilevanti interessi economici, se vuole esercitare correttamente la sua funzione pubblica, deve prima dichiararli, secondo un principio di trasparenza e successivamente separarsi in maniera netta da questi interessi o ignorare come essi vengano amministrati, fintanto che dura il suo incarico pubblico.
c) Secondo un’impostazione più radicale per evitare questa commistione, al di sopra di una determinata soglia economica di interessi, (in genere si indica un livello patrimoniale di 10,15, 20 o 30 milioni…a seconda del tipo di attività) l’uomo di governo deve alienare le sue proprietà o rinunciare all’incarico. Le leggi in materia disciplinano questi profili, con varie soluzioni ed attribuiscono ad Autorità garanti il compito di sorvegliare su questi principi.
d) Il problema del conflitto di interessi si acuisce visibilmente se le imprese in titolarità dell’uomo di Governo si occupano di profili sensibili (comunicazioni, difesa, settori nevralgici in genere).
e) La commistione tra incarichi di Governo ed imprese di comunicazione è particolarmente delicata perché il conflitto assume in questi casi un valore esponenziale dato che la politica si alimenta naturalmente di questa attività e quindi dal conflitto nasce uno squilibrio proprio nel cuore del sistema democratico. Questa è la ragione per la quale in questo campo sono state prospettate le soluzioni più radicali di cui alla lettera c) e si era proposta addirittura l’ineleggibilità (in applicazione di una disposizione del TU in materia elettorale)
f) Le norme più blande, ma comunque indispensabili, sono quelle poste a presidio della par condicio in Tv tra i soggetti politici e del sostegno privilegiato offerto all’uomo di governo dalle sue televisioni. Le norme ci sono, ma l’applicazione da parte dell’Agcom è molto prudente, tanto per usare un eufemismo. Di qui la gravità del problema che costituisce aspetto rilevante dell’anomalia, condannata in Europa e dalla Commissione di Venezia (Consiglio d’Europa).